Oggi vi parlerò di una importante novità in Chirurgia Plastica, arrivata in Italia da poco tempo.
Qualcuno di voi probabilmente ne avrà già sentito parlare. La rete di Galaflex è un dispositivo riassorbile che va a creare un vero e proprio reggiseno interno e che ha come funzione principale quella di donare stabilità al risultato. Ciò significa risultati duraturi negli anni.
A dire la verità sono sempre un po’ restio ai cambiamenti, in particolare quando si tratta di utilizzare nuovi materiali. Noi chirurghi plastici veniamo bombardati quotidianamente da aziende farmaceutiche che ci propongono nuovi filler, nuove protesi, nuovi materiali da utilizzare. Molto spesso però questi nuovi prodotti sono privi di studi sufficienti e di casistiche adeguate.
Proprio per questo motivo ad esempio utilizzo quasi sempre le protesi mammarie Mentor, azienda storica e leader nel campo dei dispositivi impiantabili.
Meno rischi, meno sorprese.
In questo caso però è stato diverso. Ho sempre sognato la possibilità di un materiale che potesse in qualche modo favorire la durata negli anni dei miei risultati.
Vediamo insieme di comprendere di cosa si tratta e se questo prodotto può essere indicato per voi.
Rete di Galaflex: di cosa si tratta?
La rete di Galaflex è un biopolimero noto con la sigla PHA, ovvero un materiale biocompatibile che a seguito di un processo idrolisi viene riassorbito completamente dal nostro corpo.
Ciò significa che questo prodotto, una volta inserito nel nostro organismo, avrà una sua durata (in media 12-18 mesi) al termine della quale verrà metabolizzato e non resterà traccia.
Qual è quindi il ruolo di questo nuovo materiale?
La rete di Galaflex, come dice la parola stessa, è uno scaffold a forma di rete che inseriamo all’interno della tasca mammaria e serve a dare stabilità nel tempo al risultato.
Possiamo considerarla come un reggiseno interno, all’interno del quale è presente la protesi mammaria ed all’esterno c’è la cute della mammella. Ancoriamo quindi la rete in profondità per far si che non si muova.
Si viene quindi a creare una struttura a forma di amaca che dona sostegno alla mammella operata.
Come ho accennato in precedenza, questo materiale è completamente riassorbibile e a distanza di mesi il monofilamento verrà metabolizzato e sostituito da un tessuto cicatriziale che riuscirà a garantire il sostegno desiderato alla protesi mammaria.
a cosa serve?
Lasciamo per un attimo da parte la teoria che se vorrete potrete approfondire di persona durante la visita e veniamo invece alla pratica clinica e a come questo scaffold può risultare fondamentale nel vostro intervento.
Sicuramente le principali indicazioni al suo utilizzo sono le Mastopessi e tutti quegli interventi eseguiti su mammelle che nel corso del tempo e magari a seguito di variazioni di peso (gravidanze, diete etc) hanno perso elasticità cutanea. In questi casi si assiste molto spesso a risultati che nell’immediato possono risultare estremamente gradevoli ma che a distanza di anni possono assumere un aspetto poco naturale, con mammelle cadenti o protesi che spingono il seno verso la cute addominale.
Quindi anche interventi perfettamente eseguiti dal chirurgo possono avere un’evoluzione poco gradevole. A me personalmente è capitato di notare come con gli anni la protesi e la cute mammaria assumessero un aspetto diverso da quello che avevo ricreato in sala operatoria.
Questa evoluzione purtroppo non è imputabile al chirurgo in quanto strettamente connessa alla elasticità della pelle del singolo paziente.
Da quando però è uscita in commercio la rete di Galaflex abbiamo una valida opzione in più ed a mio avviso esistono delle indicazioni ben precise.
Quando utilizzare la rete di Galaflex?
Io utilizzo questo dispositivo dal 2021 e mi sento pienamente soddisfatto dei risultati che ho visto finora.
Propongo il suo utilizzo in casi particolari:
– mastopessi a T invertita con protesi: ad esempio se c’è stato un forte dimagrimento e la pelle ha perso elasticità. E’ molto frequente notare striae cutanee (smagliature)
– sinmastia: ovvero pazienti già operate altrove che presentano le due tasche mammarie molto vicine o addirittura comunicanti
– dislocazione del solco mammario: quando il peso della protesi ha fatto si che un seno si posizionasse più in basso rispetto alla sua forma originaria.
Queste in realtà sono solo alcune delle principali indicazioni all’utilizzo di questo nuovo materiale. Man mano che lo utilizzo mi rendo conto di quanto possa risultare utile nella mia pratica chirurgica.
Come si utilizza?
Esistono molteplici modelli che si possono utilizzare. Il più comune di tutti ha una forma rettangolare e deve essere ritagliato e preparato prima del suo utilizzo.
Nel video vi mostro i passaggi da eseguire per ritagliare la rete prima di inserirla.
Una volta pronta, posizioniamo la rete a livello del nuovo solco mammario ed ancorata in profondità al periostio costale o alla fascia profonda. E’ importante che sia ben salda perché la sua funzione sarà quella appunto di sostenere la protesi in futuro.
Io preferisco ancorare la rete anche alla ghiandola mammaria in modo da evitare che si sposti.
Si viene quindi a creare un vero e proprio reggiseno interno interposto tra la pelle della nostra paziente e la protesi mammaria.
Come considerazione personale potrei aggiungere che posizionare la rete prolunga l’intervento di circa 30 minuti ma con la pratica il processo diventa più rapido. Ritengo che questo piccolo device abbia in parte rivoluzionato il mio approccio alla chirurgia della mammella, facendomi riflettere sulla utilità di provare a garantire risultati sempre più duraturi alle mie pazienti.
L’obiettivo di questo breve articolo è di informare i pazienti sulle novità in campo chirurgico per effettuare una scelta consapevole.
Ciò ovviamente non significa che tutte le mastoplastiche richiedano questa rete o che non utilizzarla sia un errore. A mio avviso bisogna sapere che c’è una possibilità in più e che può risultare un interessante argomento da discutere con il vostro chirurgo.